Bambini prematuri e TIN: le tre sfide più grandi dei genitori di neonati pretermine

Giorno 17 novembre è la giornata internazionale dedicata ai bimb* nati pretermine, ovvero prima della 37ª settimana.
Se hai avuto un bebè nat* pretermine, probabilmente hai vissuto sulla tua pelle quanto sia difficile iniziare il viaggio come mamma o papà di un essere umano che è così fragile e indifeso e in un contesto come quello ospedaliero, dove la relazione può essere ostacolata da tubi, incubatrici, luci fortissime, suoni assordanti…
Soprattutto se è nat* molto prima del termine, le prime settimane e i primi mesi saranno occupati da angosce fortissime sulla sua possibilità di vivere e vivere bene: “ce la farà a sopravvivere?” “Questa condizione avrà delle conseguenze a lungo termine?”
Se diventare madre o padre può essere sfidante, lo è ancora di più di un neonato prematuro. Per questo motivo voglio delineare per te le sfide più grandi che, secondo la mia esperienza clinica, i genitori affrontano nel contesto della prematurità (se l’hai vissuta, mi piacerebbe sapere che ne pensi):
ci sono centinaia di studi sull’importanza del contatto fisico nelle prime ore dopo il parto e nei primi mesi di vita. Si parla sempre più spesso di esogestazione, cioè di una continuità necessaria tra il periodo intrauterino e quello dei mesi successivi, in cui il bisogno fisico di contenimento del neonato è ancora molto molto forte e va assecondato come un bisogno fisiologico, al pari del nutrimento.
Il metodo canguro (Kangaroo Mother Care) è una pratica che favorisce il contatto pelle a pelle e il contenimento fisico. È un sistema di comprovata efficacia, perché si è visto che: migliora la termoregolazione, la frequenza cardiaca e respiratoria del bebè; riduce lo stress e il pianto; favorisce l’allattamento; migliora il peso corporeo; riduce la tassa di mortalità, solo per citare alcuni benefici.
Sappiamo inoltre che il contatto pelle a pelle con la mamma e col papà favorisce la creazione del legame emotivo, con tutte le positive implicazioni psicologiche sia per il neonato che per il genitore.
Come scrive la Società Italiana di Neonatologia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consiglia fortemente di introdurre la pratica della Kangaroo Care nelle terapie intensive neonatali (TIN) non appena le condizioni cliniche del neonato lo permettano per più tempo possibile e per tutto il periodo del ricovero, raccomandando per lo meno sessioni minime di 60 minuti. La società inoltre raccomanda la conseguente e indispensabile apertura delle TIN 24 ore al giorno, senza limiti di orario e la partecipazione attiva delle madri (e aggiungo io, anche dei padri).
Nonostante ciò, almeno nella mia esperienza di una decina di anni fa in Italia (spero che le cose siano intanto cambiate), non sempre le terapie intensive neonatali garantiscono questa continuità di cure prossimali: il neonato viene allontanato dalla madre dopo il parto e si ritrova da solo nelle incubatrici, legato a tubi e con luci fortissime, giorno e notte. Pian piano alcune TIN stanno cambiando, dando più attenzione alla vicinanza fisica con la madre e il padre, rispondendo a un bisogno emotivo dei genitori, ma anche all’evidenza scientifica.
La seconda sfida è quella di conoscere il proprio piccolo – ed essere per lui/lei il suo punto di riferimento – anche in un contesto poco naturale e gerarchizzato come quello dell’ospedale. Questo significa che viene meno la naturalezza del proprio contesto familiare, con le proprie routine e dinamiche relazionali. Si inizia ad essere genitore in un luogo molto spesso scandito da orari, limitazioni pratiche, condivisioni forzate. Questo non significa che non sia possibile incontrare umanità nei professionisti e pratiche di umanizzazione in contesti come le TIN. Allo stesso tempo, la presenza o meno di risorse economiche dell’ospedale ne condizionerà l’esperienza. Immagina di doverti tirare il latte e le risorse dell’ospedale garantiscono solo due tiralatti elettrici. Le mamme in TIN sono dieci. Sai cosa significa? Passare il proprio tempo in fila, per poter usare la macchina tiralatte, lontano dal tuo bambino. Immagina che la TIN non abbia possibilità di ospitare i padri e alle madri non si dia libero accesso alle stanze, ma ci siano degli orari di “visita” anche per loro (che penalizzano moltissimo soprattutto i padri). Significa sentire piangere i bambini fuori dal reparto e chiederti se per caso la voce che stai sentendo sia la sua. Immagina che condivi con altre famiglie la stanza e uno dei loro piccoli non ce la fa. Significa sentirti madre o padre in un contesto in cui la sofferenza e l’angoscia sono una costante, in cui veramente si lotta per la vita, e questo è molto lontano dalla gioia della nascita così come tutti se la prospettano.
Come emerso nei precedenti punti, quella di una nascita pretermine (soprattutto dei bimbi nati prima della 28ª settimana) è un’esperienza di grande stress e angoscia per i neogenitori. Se tutto va bene, i bambini prematuri avranno delle tabelle di marcia differenti per raggiungere le tappe di sviluppo psicomotorio nel primo anno di vita.
Ciò può avere un effetto ansiogeno su quei genitori che non hanno elaborato l’esperienza. Il rischio è di continuare a pensare al bambino come a fragile e indifeso, iper-proteggendolo, con conseguenze sulla sua futura autonomia.
In passato ho seguito alcuni casi di uomini adulti nati con grandi livelli di prematurità (che hanno rischiato di non sopravvivere) e ho notato una traiettoria evolutiva in cui il fatto che i genitori li continuassero a identificare come fragili ha avuto delle conseguenze importanti sulla loro autonomia, anche da adulti. Le ricerche scientifiche mettono infatti in evidenza che i genitori di prematuri hanno maggiori probabilità di essere più ansiosi di bambini nati a termine.
Quindi, se non elaborata, l’esperienza della nascita pretermine può influire anche a distanza di anni sul proprio benessere.
L’eventuale vissuto traumatico non si risolve da solo, ma può essere necessario l’ausilio di professionisti con adeguata formazione e sensibili su queste tematiche.
Quella della prematurità è un’innegabile grande sfida per i neogenitori. Tre brevi spunti:
Essere genitori di un neonato pretermine è un viaggio che nessuno sceglie.
È un viaggio che inizia prima del tempo, spesso senza preparazione, con un fardello emotivo pesante e pieno di domande senza risposta.
Ma è anche un viaggio in cui si scopre una forza che non sapevi di avere. Una capacità di amore che supera la paura. E se senti che qualcosa nella tua esperienza ha ancora bisogno di essere ascoltato, accolto, elaborato… non sei sol@.
Chiedere aiuto non toglie niente alla tua forza, anzi, la amplifica.
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